Interviste

Guarda quanto è British Baronetto: l’intervista all’ambasciatore dello swærv

L’influenza della Dark Polo Gang e l’amore per i progressive rock e gli Smiths, la decadente nobiltà romana e Brighton che è “la Riccione d’Inghilterra”, il teatro che l’ha trasformato da un pariolino al vero sé: chi è Adriano Moretti aka il Baronetto

Autore Greta Valicenti
  • Il16 Marzo 2024
Guarda quanto è British Baronetto: l’intervista all’ambasciatore dello swærv

Baronetto

Dopo la Dark Polo Gang degli anni d’oro, l’Italia ha un nuovo portatore della British attitude. Si tratta di Baronetto (se si parla di musica) o Adriano Moretti (quando si parla di vita vera e teatro). Romanissimo classe 1999 (anche se dice di venire da Brighton, “la Riccione di Inghilterra”, come racconta in questa intervista, la prima), look da broker di Wall Street che ha fatto un salto a prendere un aperitivo ai Parioli, Baronetto è il nuovo ambasciatore dello swærv anglosassone iniziato con Bounce, il suo primo singolo, e proseguito ieri con Posh.

Un brano in cui racconta la giornata tipo di un nobile che vuole fare la trap e in cui Adriano fa convergere le sue tre cose preferite (oltre a Keira Knightley e la Lazio). La musica, la recitazione e la comicità. Perché sì, con le sue parodie virali Adriano Moretti è anche una star dei social, in particolare TikTok. Ma la cosa, come mi spiega, è più sottile e intelligente di quello che può sembrare ad un primo ascolto distratto. “Un po’ come la commedia: una cosa che fa ridere ma in cui c’è sempre una componente di serietà. Perché cazzeggiare ci sta, ma devi farlo bene”.

Dall’influenza della DPG e l’amore per i progressive rock e gli Smiths. Dalla decadente e nostalgica nobiltà romana a Brighton che è “la meno inglese della città inglesi”. Dall’accademia di recitazione dove “ho beccato quei matti degli attori” che l’ha trasformato da un pariolino al vero sé, libero e pure un po’ freak. In questa intervista vi raccontiamo chi è Adriano Moretti aka il Baronetto.

L’intervista ad Adriano Moretti aka Baronetto

Come spiegheresti a Baronetto chi è Adriano Moretti e come spiegheresti ad Adriano Moretti chi è Baronetto?
Ad Adriano direi che Baronetto è questo folle ragazzo che fa delle canzoni con questo accento italo-inglese che non si capisce molto bene. Diciamo che è un personaggio misterioso, sicuramente anche perché dice di essere di Brighton e c’ha questo accento, però poi conosce terminologie super particolari italiane. Tu lo vedi e dici “questo è un pazzo, però c’ha stile”. Di Adriano Moretti a Baronetto direi che è un giovane artista, un aspirante showman che si diletta nella recitazione, nella commedia e nella musica e che utilizza i social per spargere la sua creatività.

E tra la recitazione e la musica qual è la tua cosa preferita?
Sono due cose molto diverse tra loro che comunque mi appassionano quasi allo stesso modo. Forse la la musica ha il vantaggio di avere un processo creativo che nasce totalmente da me. Mentre la recitazione, almeno per il momento, è sempre qualcosa che magari è scritto da altri, diretto da altri, che comprende delle storie che non ti riguardano, che tu devi interpretare mettendoti nei panni di altri personaggi. Sicuramente il mio sogno è quello di recitare in un film scritto da me.

Baronetto quando entra nella vita di Adriano?
Adriano Moretti e Baronetto si sono incontrati la scorsa estate perché con il mio collettivo di amici rapper e con il mio produttore ci beccavamo tutti i giorni in studio e facevamo queste posse track da sette persone. Una volta, siccome il tono era sempre abbastanza swag, molto trap, e allo stesso tempo molto ironico, volevo fare una cosa che facesse ridere principalmente tutti quanti. Quindi ho fatto una strofa con l’accento inglese.

E Baronetto perché?
Da bambino, quando giocavo a basket, un mio allenatore mi chiamava Baronetto per la mia tendenza a essere un giocatore molto elegante che si sporcava poco le mani in difesa, che non faceva il lavoro sporco. Io in pratica con i capelli con cui entravo a inizio partita, uscivo. Nemmeno sudavo. Quindi ho ritirato fuori questa cosa e da lì ho creato questo immaginario di un baronetto che rappa. La sfida era quella di fare esattamente l’opposto di quello che è l’immaginario comune della trap. E inoltre volevo anche fare un esperimento per capire se effettivamente quello che conta di più oggi è il contenuto del testo o le top line, le melodie.

Ed è riuscito?
Sì, perché la gente si è quasi dimenticata che questa è una cosa ironica e si sono fomentati per lo stile e il flow piuttosto che per i contenuti. Per me c’è anche una componente di serietà in quello che faccio, non lo faccio tanto per. Un po’ come la commedia: cazzeggiare ci sta, ma devi farlo bene.

Che poi la prima cosa che mi è venuta in mente è la Dark Polo Gang e il suo “Quanto cazzo sono British”.
È assolutamente quella roba lì. Quello è stato il mio primo approccio alla trap ed è stata la prima cosa che mi ha dato fiducia nel nel tirar fuori anch’io delle delle canzoni perché hanno fatto credere che tutti potessero fare musica. Ma loro avevano un talento incredibile, non era per niente una cosa campata per aria. La cosa che mi mi spiace che a volte questo non arriva tanto e quindi si crede che sia facile fare qualcosa che abbia un minimo di successo e che abbia una sua identità.

In realtà ci vuole tanto lavoro, io mi ci impegno tantissimo. Anche perché ormai il mercato è talmente saturo che è sempre più difficile avere delle idee innovative e a volte bisogna arrivare ad inventarsi delle cose estreme per catturare l’attenzione. In questo caso secondo me Baronetto era un perfetto equilibrio tra la mia componente attoriale comica e la mia componente musicale. Che poi ovviamente vorrei evolvere nella mia musica che faccio da anni più seriamente.

Che è sempre rap?
Sì, con una connotazione un po’ più pop, un po’ più malinconica.

Tra l’altro tu vieni da Roma che è una città molto particolare a livello di hip hop. C’è il lato più bling bling della Dark Polo Gang che all’inizio era quasi “macchiettistica”. Dall’altro c’è quello più hardcore della Lovegang e del TruceKlan. E poi da un altro ancora quello super underground ad esempio dei Colle Der Fomento. C’è tanta roba da cui pescare.
Assolutamente, Roma è una città che nasce e vive di arte quindi c’è una varietà incredibile. Poi è una città talmente grande che emergono tante difficoltà. Si dice sempre che Roma non ha padroni perché ci sono tante culture diverse proprio anche a seconda delle zone, dei quartieri, dell’immaginario. Quindi è sempre un po’ difficile trovare quella cosa che la identifichi in toto. Roma può essere tranquillamente Tony Effe come Noyz Narcos, Carl Brave, Franchino, thasup e Tiziano Ferro.

E tu con che musica sei cresciuto?
Principalmente cantautorato italiano, specialmente Pino Daniele è stato proprio la colonna sonora della mia infanzia e dei miei primi anni di adolescenza perché mio padre era un patito di Pino Daniele come di Battisti, Battiato, De Gregori. Poi tantissima musica progressive rock tipo i Genesis, i Pink Floyd e anche tanto David Bowie, i Queen. Sono un malato degli Smiths e del rock inglese, per me quella musica è stata proprio il picco più alto di tutti. Però sono uno che si ascolta anche il pop extra commerciale, l’indie, Calcutta è uno dei miei artisti preferiti, sono un fan accanito di Tutti Fenomeni, dei Cani.

Ecco, dei Cani ad esempio mi piacciono tutte le canzoni perché sento che parlano proprio del mio immaginario, di un romano di Roma nord, però da Contessa ho cercato di rubare quell’irriverenza del prendere per il culo le situazioni in modo delicato ed elegante.

Il Pagante era il corrispettivo milanese dei Cani ma più zarro?
Assolutamente! Quella roba lì è molto attraente e ha un effetto proprio sociale perché anche quello secondo me è la dimostrazione di quanto poi effettivamente la top line e le melodie ti portino a cantare inconsapevolmente delle cose che quando ci fai caso dici “ma sto cantando veramente questa roba?”. Secondo me in parte è anche quello che sto facendo io con Baronetto: mettere sulla bocca delle persone delle parole che dici “ma che cazzo sto a dire?”. Però sei talmente preso dalla musicalità di quella cosa che non te ne accorgi neanche.

E perché hai scelto proprio Brighton?
In realtà all’inizio nasce tutto come una roba di suono perché doveva far rima con una parola che dicevo in una canzone, e poi perché mi piaceva questa cosa dell’allitterazione della b e della r. Poi, facendo delle ricerche, mi sono reso conto che Brighton è la città meno inglese di tutte, perché è una città marittima, che già è una cosa particolare in Inghilterra, ed è l’esatto contrario dell’immaginario che racconto io. A Brighton non ci sono grandi castelli, quindi è raro che ci siano baronetti o nobili. Anche se poi Baronetto è un ragazzino che sì ha vissuto nella nobiltà, e quindi si è aperto al mondo, ma non ha mai vissuto effettivamente le esperienze degli altri. Quindi ha proprio una visione provinciale della vita.

Per Baronetto meglio Roma o Brighton?
Assolutamente Roma. Brighton lo spaventa perché ha saputo che è anche una città piena di movida, anche pericolosa e il Baronetto un po’ se la fa sotto. È uno che se la crede ma poi se non c’ha l’autista che lo viene a prendere va nel panico.

Ma Baronetto lo sa che tra l’altro a Brighton Fabri Fibra ci ha scritto Mr. Simpatia?
Ma veramente?

Giuro. Ci si era trasferito da Senigallia e lavorava in una fabbrica di penne.
Incredibile, assurda questa cosa.

Che musica ascolta invece il Baronetto?
Allora tra le cose preferite del Baronetto ci sono Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti, Laura Pausini… Tutto quel pop italiano un po’ anni 2000. Infatti non so perché poi lui faccia la trap perché gli piacciono proprio tutte quelle cose da Roma nord, quelle da cantare a squarciagola nella Smart. Pure Ultimo è immancabile.

In Posh racconti la giornata tipo del Baronetto.
Sì, parlo del fatto che ho questi dieci cani al guinzaglio, che sto a letto con una che sembra Keira Knightley, che mangio porridge a differenza degli altri che mangiano french toast. Diciamo che è un elogio della mia pochezza. Anche perché è un mondo che conosco molto bene, che ho visto proprio con i miei occhi ma che non ho mai guardato con disgusto.

Questa cosa aristocratica è molto romana o sbaglio? A Milano i borghesi sono visti come i radical chic, a Roma c’è proprio tutt’altro immaginario.
La differenza secondo me è che a Milano ci sono i veri ricchi, a Roma quelli che una volta erano ricchi e ora non hanno più niente però hanno la casa nobiliare in centro perché l’hanno ereditata e quando la vendono fanno milioni di euro. Poi sono quelli che vanno nei posti dove mangiano gratis perché conoscono il proprietario e che sono sempre invitati alle feste, ai vernissage, cose così.

Una perenne Grande Bellezza in pratica.
Esatto! Infatti quel film racconta perfettamente quella romanità lì che è anche un po’ decadente e malinconica se ci pensi, perché si basa su su cose del passato e non è mai in evoluzione. Però è affascinante anche per quello.

Ma quindi fammi capire: sei un pariolino?
Allora io ho fatto liceo, medie e elementari nella zona dei Parioli, corso Trieste. Poi andavo in vacanza in posti come l’Argentario, la Sardegna, e frequentavo locali sempre un po’ pettinati. Il cambio totale per me è arrivato quando sono entrato in accademia di recitazione e ho beccato quei matti degli attori e dei registi che girano con ipiedi scalzi e i turbanti in testa. All’inizio mi faceva strano, poi mi sono detto “Ma io nell’animo sono esattamente così!”. E quindi da lì ho cominciato a frequentare anche centri sociali, locali diversi, il Pigneto invece dei Parioli, e lì ho capito quanto in realtà effettivamente io fossi molto più libero di quanto pensassi. Alla fine tutte queste cose mi hanno forgiato.

Stasera c’è Brighton Roma: come la gestiranno Adriano Moretti e il Baronetto?
Adriano è laziale. Essere della Roma è l’unica cosa su cui non potrei mai fingere.

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