Interviste
BILLBOARD ITALIA X TUNECORE

Egreen, Perché ascoltare un classico. L’intervista

In occasione del decennale de “Il cuore e la fame” abbiamo incontrato il rapper per farci raccontare in prima persona cosa rende un album un classico e come, grazie a TuneCore, abbia deciso di ringraziare in maniera concreta i suoi fan più fedeli per il supporto mostrato in tutti questi anni

Autore Greta Valicenti
  • Il14 Novembre 2023
Egreen, Perché ascoltare un classico. L’intervista

Egreen, foto di Giorgio Bignardi

Nel 1981, sulle pagine de L’Espresso, Italo Calvino pubblicava un lungo articolo dal titolo semplice ma eloquente: Perché leggere i classici. Un’esortazione alla scoperta delle opere cardini che a sua volta sarebbe diventato un classico. E infatti, è proprio da qui che iniziamo per parlare con Egreen de Il cuore e la fame, un classico (avete già capito che questa parola sarà ricorrente?) del rap italiano che nel 2023 ha compiuto dieci anni. Un traguardo che Egreen ha voluto celebrare non solo musicalmente (aggiungendo alla già corposa tracklist tre brani inediti. Intro 2023 (5tate of Mind freestyle), Pro-blemi con Peter Wit e Fine, che contiene al suo interno il campione di un altro classico del genere), ma anche umanamente, accorciando concretamente – con il supporto di TuneCore – sempre di più le distanze con chi ci è sempre stato.

Lo ha fatto ridistribuendo le royalties del disco, che i fan più affezionati riceveranno mensilmente sul loro conto PayPal grazie ad un account su TuneCore. «Un modo per rendere a tutti gli effetti il disco tanto mio quanto loro», mi racconta Egreen, confermando ancora una volta quanto la sua passione per questa cosa di cui si è innamorato alla fine dei ’90 ascoltando dischi come Dalla sede, Turbe Giovanili, Fastidio, Lupo solitario e Parole sia mossa ben poco dai soldi (e infatti, nonostante tutto, Egreen è sempre rimasto granitico nel suo status di rapper underground) e molto, invece, dal fare qualcosa – delle Scelte, punto di partenza e di arrivo per questa chiacchierata – per cui essere ricordato. Come ci ha raccontato in questa intervista.

Ascolta “Il cuore e la fame” di Egreen

L’intervista a Egreen

Hai detto che la ristampa de Il cuore e la fame rappresenta la chiusura di un cerchio durato vent’anni: i dieci che ci sono voluti per scriverlo e i dieci successivi. Ti chiedo allora qual è il bilancio di questi lunghissimi anni…
Un bilancio in cui non so se le battaglie vinte pareggiano con quelle perse, e non so se la vittoria definitiva di questa guerra con me stesso, se vogliamo definirla tale, è stata portata a casa. In tutti questi anni ho lottato per provare a fare un tipo di rap che a conti fatti non è mai stato quello che è andato per la maggiore. Quindi per me è sempre stato un continuo tirare dei bilanci. A volte un po’ amari, altre volte più piacevoli…

Il tuo rapporto con il rap infatti è sempre stato estremamente viscerale, nel bene e nel male. Lo dicevi anche in Scelte che “il rap non è mai stata una fottuta via d’uscita, a me sto cazzo di rap ha rovinato la vita”. A distanza di anni Egreen e il rap hanno trovato un equilibrio in questa relazione di amore/odio? 
Diciamo che per risponderti a questa domanda dovrei essere ancora più sereno di quel che sono ora! Quello col rap è un rapporto che non sarà mai completamente risolto. Ma forse è proprio per questo che credo che avrò sempre qualcosa da dire. Non mi sono mai visto come un artista che deve basare la propria narrativa sul sentirmi appagato. C’è chi riesce a combattere le proprie ansie e le proprie paure con la leggerezza applicata alla disciplina artistica. E invece chi ripone nella musica tutte le proprie perplessità. Ecco, io faccio parte del secondo gruppo. 

So che sembra una frase da cioccolatino, ma le cose che amiamo di più sono quelle che ci fanno soffrire altrettanto?
Esattamente, perché poi trovarsi di fronte ad una cosa che ami è un continuo guardarsi allo specchio. Che sia un partner, un’amicizia importante, un percorso di studi o professionale. Quando amiamo qualcosa così tanto e la prendiamo molto seriamente ci troviamo poi a farci i conti ogni giorno.

Il cuore e la fame è all’unanimità considerato un classico del rap italiano, per questo volevo fare con te una sorta di gioco. Ti va?
Certo, vai. 

In Perché leggere i classici Italo Calvino spiegava – appunto – cos’è un classico. Facciamo finta che al posto di un libro ci sia Il cuore e la fame. “I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…»”: qualche giorno fa hai fatto la prima data del tour a Milano. Come è stato per i tuoi fan storici riascoltare quel disco live dopo 10 anni?
Mi hanno scritto che c’è gente che ha pianto… Io la sera prima del concerto a casa da solo ho avuto dei momenti un po’ così perché mi sono detto “okay, domani tutta questa cosa è finita”. Sul palco ero molto concentrato su quello che stavo facendo e non mi sono molto reso conto di cosa stesse succedendo attorno a me. Però mi è stato riferito che c’è stata molta partecipazione da parte della gente. Ero focalizzato nel non sbagliare i pezzi, e la gente era concentrata nel ricevere questo disco dal vivo dopo tutti questi anni. 

“Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta”. Ti capita che ti scrivano ragazzi che hanno scoperto ora questo disco? E se sì, quali sono i loro pensieri?
Guarda, proprio qualche giorno fa mi ha scritto un ragazzo per dirmi che non mi aveva conosciuto quando è uscito ma che in un momento complicato della sua vita in cui era in crisi con se stesso un suo carissimo amico gli aveva consigliato di ascoltare Il cuore e la fame. Mi ha scritto delle cose bellissime. 

Quindi è anche un album in cui trovare conforto. Che poi è un po’ la base del rap, no? Sapere che c’è qualcuno che nemmeno ti conosce ma prova le tue stesse cose e le sa raccontare meglio di come faresti tu.
Esattamente così. Nel rap è come se si creasse una una comprensione vicendevole fra due persone che non si conoscono e da quella cosa avviene un click. Sono cose che io stesso ho provato negli anni nei confronti di altri artisti, specialmente americani. In Italia mi è successo con Dalla sede degli Otierre, con Turbe Giovanili di Fibra, con Fastidio di Kaos, Lupo solitario di Zampa, Parole di Mistaman… Tutti dischi che mi hanno un po’ penetrato l’anima e mi hanno sconvolto letteralmente l’esistenza.

La legacy de “Il cuore e la fame”

Già che siamo in tema allora. “I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare”: A distanza di 10 anni dall’uscita, qual è la legacy più importante che senti di aver lasciato con Il cuore e la fame?  
Credo che per quanto riguarda i fan un approccio alla vita diverso, più tenace forse. La cosa che mi viene detta più spesso è “grazie a questo disco non ho mollato”. Questa per me è una cosa da pelle d’oca. Dal punto di vista dei colleghi o dei giovani ragazzi che rappano credo ci sia una fetta venuta su ascoltando Il cuore e la fame e dicendo “cazzo, io devo fare bene questa roba”.

Chi sono i giovani che oggi rappano bene?
Io ora sto lavorando con Peter Wit, un ragazzo di 18 anni di Segrate. Poi mi piacciono molto Sesto Carnera, Tony Zeno del giro Mxrxgxa.

E invece dei tuoi coetanei che mi dici?
Beh la cosa bella di noi è che siamo tutti diversi. Io sono diverso da Nex Cassel che a sua volta è diverso da Johnny Marsiglia. Nessuno di noi c’entra un cazzo con l’altro. Noi arriviamo da una generazione in cui era fondamentale non omologarsi e in cui ognuno doveva fare il suo e questo è bello perché la diversità rende il tutto molto più affascinante. Ora invece sembra che adesso il trend sia “Ah, okay, devo fare la cosa uguale a quella che funziona per funzionare”, e questa è la roba meno hip hop del mondo: l’hip hop nasce in modo totalmente contrario, da un’esigenza di stand out dalla massa. 

Egreen sull’uso del sample di “Serpi” di Jake La Furia

In questa riedizione de Il cuore e la fame per altro c’è un altro tributo enorme all’hip hop italiano, ma andiamo con ordine. “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Egreen, hai aggiunto tre brani inediti, cosa sentivi di dover dire di nuovo? E cosa rappresenta per te Serpi di Jake?
Volevo scrivere qualcosa che chiudesse questo cerchio, e i pezzi si sono incastrati quasi per magia. Ho voluto dare a me stesso l’occasione di fare una reinterpretazione della mia visione ma in chiave attuale, nel 2023. Per quanto riguarda la scelta di Serpi io non me la sono vissuta benissimo, perché toccare pezzi così sacri è sempre un rischio – e poi per me Jake è il migliorn rapper della storia di Milano -, però l’ho fatto perché sentivo di potermelo permettere. Ci ho scritto su una roba estremamente personale, anche se la sfida era non cadere nella trappola di fare Incubi 2 nonostante volessi qualcosa di estremamente forte ed emotivo per scrivere la parola fine. E poi io sono sempre stato un citazionista, stavolta ho voluto farlo su una roba gigante ma che fosse sempre legato all’underground. Quel pezzo di Jake non è nemmeno su Spotify. 

La ridistribuzione delle royalties grazie a TuneCore

Hai anche deciso di premiare il supporto che i tuoi fan ti hanno dato in tutti questi anni distribuendo loro delle percentuali di royalties grazie a TuneCore. Mi racconti questa cosa?
Fondamentalmente io avevo già intenzione di fare una cosa del genere quando scoppiò la bolla degli NFT, però era troppo complicato. Forse era troppo presto, ma questa cosa mi è sempre rimasta. Negli anni poi ho fatto molte attività per accorciare il più possibile le distanze fra me e le persone che mi seguono. Per esempio quando è uscito Entropia ho tagliato dei pezzi di fogli dei miei quaderni originali e li ho dati ai fan. Poi ho organizzato cene, pranzi, cose così. Quindi questa cosa del del ridare indietro alla gente delle percentuali provenienti dalle royalties del disco grazie a TuneCore è stato semplicemente il riuscire a poter rendere a tutti gli effetti il disco tanto mio quanto loro. 

Come verranno distribuite le royalties?
Le royalties verrano distribuite attraverso un sistema di ripartizione automatizzato derivante dai proventi degli stream su tutte le piattaforme digitali del disco. Il sistema di “splits” è entrato in vigore a metà anno e consente agli artisti di poter suddividere in percentuali che vanno dall’1% al 99% i guadagni della loro musica, garantendo un’equa ripartizione fra le figure professionali che danno vita ad un brano o a un disco.

Nel caso dell’operazione in oggetto, abbiamo utilizzato il servizio di TuneCore in maniera creativa per coinvolgere, appunto, la mia fan base e alcuni fra i miei più stretti collaboratori. Avviene in maniera molto semplice: abbiamo aperto con TuneCore degli account ai fan, medianti i quali riceveranno mensilmente una piccola percentuale sul loro conto PayPal. Per il primo anno tutti i costi di apertura e di gestione degli account sono stati omaggiati da TuneCore, a seguito dell’approvazione con entusiasmo anche da parte degli uffici centrali di New York dell’idea.

Com’è nato il tuo rapporto con TuneCore?
Con TuneCore tutto è nato quando sono tornato dalla Colombia e ho avuto l’esigenza di utilizzare un distributore indipendente per caricare il mio disco del 2022, Nicolás, sulle piattaforme. Da lì in poi fra me e TuneCore è stato un susseguirsi progressivo di coinvolgimento reciproco nelle nostre rispettive attività promozionali e di comunicazione. Dando vita ad un rapporto ormai più che consolidato basato sulla trasparenza e la comunione d’intenti nel voler “esportare” e veicolare il più possibile il concetto di “DIY” e di musica sostenibile e indipendente. A mio parere i tempi sono maturi per affrontare il tema di un percorso di indipendenza nel mercato discografico come valida alternativa alle strade più comunemente “riconosciute” dal sistema e dall’industria.

Egreen: «I soldi non mi hanno mai spinto»

Senti Egreen, sempre in Scelte dici: “Cerca di esser fiero di ogni scelta che fai”: lo sei?
Direi di sì. Nonostante io sia qui a leccarmi le ferite perché non sapevo bene quale fosse il prezzo da pagare, nel bene e nel male sono esattamente quello che volevo essere quando nel ‘98 fumavo le canne e ascoltavo i dischi dei rapper italiani e dicevo “questa cosa è pazzesca e io voglio farla”. Volevo far parte di una scena e rappresentarla e sono rimasto sempre un rapper underground che però. La cosa che mi ha sempre spinto non sono i sodi, ma riuscire a fare qualcosa per cui non solo verrò ricordato, ma che potrà essere un documento da prendere in esame per chi verrà dopo di me. E credo di averlo fatto.

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