Interviste

M83: «Si può ballare anche con la mente, non solo con il corpo»

Il progetto di Anthony Gonzalez torna con il nuovo album “Fantasy”, uno dei più riusciti del polistrumentista francese. Il tour toccherà anche l’Italia, a Milano il 19 giugno

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il16 Marzo 2023
M83: «Si può ballare anche con la mente, non solo con il corpo»

M83 (foto di Ella Herme)

Ritornano con un nuovo album gli M83, il progetto di Anthony Gonzalez, compositore, produttore e musicista a tutto tondo, anche prestigioso autore di colonne sonore. Fantasy è uno dei più riusciti del polistrumentista francese e viene pubblicato alla vigilia di un tour internazionale degli M83 che toccherà anche l’Italia, con una unica data al Magnolia Summer di Milano, il 19 giugno.

Ne abbiamo parlato con un Anthony visibilmente soddisfatto della nuova avventura discografica ed entusiasta di riprendere l’attività live e di uno show che si preannuncia ricco di sorprese.

A un primo ascolto, Fantasy sembra un album abbastanza differente da quelli che lo hanno preceduto. Si sentono riferimenti al progressive rock e anche al krautrock.

Mai come in questo periodo mi è successo di ascoltare musica del passato, in particolare il krautrock, che, ancora di più che in precedenza, ha un ruolo importante nel background sonoro di questo disco, ma anche titoli sia underground sia più noti del rock progressivo anni ‘70. Sono suoni che sento attualissimi, anzi, in qualche modo senza tempo. È un mondo che rappresenta molto la mia visione attuale. Ho amato incidere dischi come Junk e DSVII e ne sono tuttora orgoglioso, ma credo che Fantasy abbia un’energia e una spontaneità tutte sue.

A proposito di grandi album del passato, Us and Rest è una citazione della Us & Them dei Pink Floyd, dall’immortale The Dark Side of the Moon di cui, proprio in questo periodo, stiamo celebrando il cinquantesimo compleanno?

Bella domanda… Chissà! Consapevolmente e volutamente non ci sarebbe alcun nesso. Ma ora che mi ci fai pensare, magari un ricordo, un’assonanza misteriosa lavorava da dentro. Dark Side è un album grandioso ed è normale che possa aver lasciato delle impronte che riaffiorano quando meno te le aspetti.

In un pezzo come Amnesia sembra esserci quasi una chiave di lettura del suono dell’album nelle parole: I’m in love with the darkness / It’s just a sound / Nothing wrong with some sadness / It’s just a sound / Ride with me. In che senso la tristezza è un suono?

È un aspetto che riguarda profondamente il modo stesso in cui sono nate le canzoni del disco. Abbiamo attraversato tutti un periodo molto denso dal punto di vista emotivo, la tristezza non era qualcosa di negativo, ma un conforto nel quale rifugiarsi. Una malinconia liberatoria che per me, proprio in quanto musicista, aveva forma di suono. Nello stesso tempo era la percezione di voler suonare una musica che entrasse in un contatto profondo con gli altri.

Empatica?

Direi piuttosto universale.

Mi sembra che pezzi come Water Deep, Oceans Niagara, Earth to Sea, siano addirittura “cosmici”. Esiste questo aspetto nel tuo approccio con la musica?

Assolutamente sì! Comporre musica per me è proprio questo. Devo stare chiuso nel buio di una stanza piccolissima e da lì avventurarmi nel cosmo con la mente. È una cosa che risale alle mie origini nel sud della Francia. Sono posti in cui puoi camminare lungo la riva del mare, pensare, fissare dei punti indefiniti e accedere ad un mondo più vasto di quello che vediamo con lo sguardo di ogni giorno.

Tutta questa ampiezza di orizzonti genera nel disco un suono altrettanto potente, espanso, grandioso. I fan degli M83 saranno certamente curiosi di sapere come verrà resa una tale massa sonora dal vivo. Cosa dobbiamo aspettarci dal tour, che peraltro toccherà anche l’Italia?

Sì, non vedo l’ora di ripartire, finalmente. Sul palco saremo in sei, ho tre nuovi musicisti straordinari ed è certamente la migliore band che mi abbia mai accompagnato dal vivo. Volevo che lo show fosse per il pubblico una vera e propria avventura sonica. Sarà un viaggio con diverse tappe che presenterà brani da Fantasy ma ripescherà anche tanto materiale dai dischi più vecchi. Nessuno rimarrà deluso.

M83 - Fantasy - intervista - foto di Ella Herme - 2
M83 (foto di Ella Herme)

Da un artista che ha scritto musica anche per il Cirque du Soleil è lecito aspettarsi uno show molto spettacolare anche dal punto di vista scenico…

Anche se l’aspetto scenico più essenziale rimane la performance dei musicisti, stiamo curando molto l’ambito dei visual, del light show. È un fatto soprattutto di estetica. Stiamo studiandone una funzionale alla musica e al fatto che siamo in molti sul palco. È un work in progress. Vi stupiremo.

Sempre a proposito di cinema, le esperienze delle colonne sonore con registi come Gilles Marchand, Joseph Kosinski, o Stefano Sollima in Suburra hanno influenzato il tuo modo di scrivere per gli M83?

Penso che questa influenza si sia addirittura intensificata nel tempo. Da un lato l’esperienza e il fatto di avere più mezzi a tua disposizione ti fanno crescere come autore. Dall’altro mi sono abituato a riferire sempre la musica a delle immagini, anche quando queste ultime non esistono. È come se la musica creasse di per sé dei simboli e poi facesse loro da colonna sonora originale. Anche in questo caso parlerei di un’influenza estetica complessiva.

Sento in particolare questa attitudine in un brano come Kool Nuit, che mi sembra uno degli highlights del disco…

Lo è anche per me. La notte è una delle componenti fondamentali della mia vita. L’orchestrazione del brano vuole catturare il momento in cui ti sembra di essere l’unico essere umano sveglio sulla faccia della terra.

La title track è veloce, sintetica, vagamente anni ‘80. Una componente che ha già fatto capolino in passato nel suono M83, ma in questo disco in particolare stacca tantissimo rispetto agli altri pezzi.

È proprio questo il punto. A parte il fatto che si può ballare anche con la mente e non solo con il corpo, una fantasia è tale perché è diversa dalla realtà e in qualche modo si oppone a tutto il resto. Volevo proprio che il brano che dà il titolo al disco suggerisse questa idea di salto all’improvviso.

Dismemberment Bureau invece è proprio un gran finale, molto più sonico, un momento di insieme. Come sono andate le cose in studio?

Sì, è una chiusura molto corale, un momento di sfogo per tutti i musicisti. Ma è anche rappresentativo del modo in cui l’intero disco è stato fatto. Volevo proprio dare l’idea di un suono collettivo, da band. È un disco ambizioso, molto suonato.

È anche il nono album, senza contare le colonne sonore, di una carriera ormai ultraventennale, dall’ampio seguito internazionale. Qual è oggi il tuo approccio con la professione di musicista e con l’idea stessa di pubblicare nuova musica?

Libero. Mi guardo intorno, anche se le uscite settimanali sono talmente tante che non si riesce a stargli dietro. Ma preferisco soprattutto guardare dentro di me e fare esattamente la musica che mi va di fare, che sia attuale rispetto a quello che sto sentendo e vivendo umanamente e artisticamente, senza condizionamenti né pressioni.

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