Interviste

“græ” di Moses Sumney è un’opera sull’identità e sul diritto ad essere molteplici

Moses Sumney ha pubblicato la seconda parte di Græ, lunga opera in cui esplora i temi dell’identità e delle convenzioni sociali con uno sguardo che rifiuta categorie binarie

Autore Federico Durante
  • Il17 Maggio 2020
“græ” di Moses Sumney è un’opera sull’identità e sul diritto ad essere molteplici

Foto di Alexander Black

Secondo Moses Sumney i media dovrebbero sforzarsi di raccontare la complessità di ogni storia, le sue molteplici sfaccettature. Con un simile ammonimento diventa dunque un compito difficile quello di presentare un artista che per dichiarata volontà intende sfuggire a qualsiasi definizione sia musicale che caratteriale.

Cresciuto fra la California e l’Africa occidentale ma oggi di stanza ad Asheville, North Carolina, Sumney ci aveva già pienamente convinti con l’album d’esordio Aromanticism del 2017 per la sua proposta musicale sofisticata, di ricerca, capace di sintetizzare la crème di tante sonorità (pop, jazz, soul, R&B, elettronica, mondo delle colonne sonore) in un iper-stile cangiante come il suo autore. Ma anche per uno spessore lirico assolutamente al di sopra del canone della scrittura pop: filosofico nel contenuto e poetico nella forma.

La combinazione di questi aspetti fa dell’arte musicale di Moses Sumney un’esperienza estetica ad ampio respiro, circostanza confermata – e ulteriormente allargata – dalla seconda prova full-length: græ (Jagjaguwar), lunga opera (uscita in due parti, la prima a febbraio e la seconda il 15 maggio) in cui si esplorano i temi dell’identità, della solitudine, delle convenzioni sociali e morali attraverso uno sguardo che rifiuta categorie binarie. Ecco un estratto dell’intervista che troverete integralmente sul numero di maggio di Billboard Italia.

L’album si apre con un concetto di isolamento che curiosamente risuona con i tempi che stiamo attraversando. Noi tutti siamo cresciuti con l’idea che “nessun uomo è un’isola”, ma tu sembri celebrare l’opposto. Qual è la bellezza di essere un’isola?

Non penso di celebrare l’isolamento, l’essere un’isola, o perlomeno non in quei termini. Piuttosto, penso di investigare quel concetto, di interrogarlo. Detto questo, trovo che ci sia una certa intima bellezza nel trascorrere del tempo da soli: ogni persona a volte dovrebbe essere un’isola. È un buon modo per cominciare a esplorare l’universo.

In Bystanders dici: “morality is grey”, una prospettiva affascinante e coerente con il concept. Mi spieghi meglio la tua idea di “grigiore” della moralità?

L’idea del grigio si lega all’impostazione dell’album, che intende esplorare le sfumature intermedie, l’essere né da una parte né dall’altra di alcunché. Dicendo che “la moralità è grigia” pensavo a come questa sia una sfera soggettiva. Penso che spetti a ogni individuo o gruppo culturale la definizione di cosa esattamente sia morale e cosa no. Quindi, in sostanza, non puoi lasciare che siano altre persone a decidere per te: la moralità non è un fatto oggettivo.

Concepisci quest’idea del grigio come una sorta di evoluzione del concetto di yin e yang?

Sì, esattamente. Ci ho pensato molto e ho capito che era quello che volevo comunicare con questo disco.

In Also Also Also And And And dici: “I insist upon my right to be multiple”. Chi o cosa ti priva di quel diritto?

Semplicemente la società, che ci incoraggia ad essere… digeribili. Ci incoraggia ad essere facili da comprendere, in modo da adattarci e andare d’accordo con gli altri. Quello che cerco di comunicare è che nessuno è così semplice e che ciascuno contiene moltitudini e diversi aspetti della propria identità.

Ascolta græ di Moses Sumney in streaming

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