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Beatrice Venezi: «La narrazione sulle donne va cambiata. Senza quote rosa»

Da Lady Macbeth a Giovanna d’Arco, il Maestro ha raccolto nel suo nuovo album “Heroines” storie di grandi donne che hanno avuto il coraggio di cantare fuori dal coro. La nostra intervista

Autore Benedetta Minoliti
  • Il3 Dicembre 2021
Beatrice Venezi: «La narrazione sulle donne va cambiata. Senza quote rosa»

Beatrice Venezi, foto ufficio stampa

Qualunque cosa potrebbe venirvi in mente sulle donne potrebbe essere anacronistica, o semplicistica, o ancora peggio scontata, già detta milioni e milioni di volte. E invece no, perché ancora oggi siamo costretti, in alcuni casi purtroppo, a ribadire concetti che dovrebbero essere incisi come sulla pietra nella mente di chiunque. Beatrice Venezi, con il suo nuovo progetto discografico, Heroines, vuole provare a cambiare la narrazione fatta sulle donne per secoli.

Non siamo una categoria protetta, fragili e da difendere. Vogliamo essere ascoltate e capite. Vogliamo trovare il nostro posto nel mondo senza sgomitare e combattere contro i pregiudizi e i luoghi comuni. Anche quando la nostra voce è fuori dal coro, come quella di Giovanna d’Arco o Lady Macbeth.


Heroines è un richiamo al messaggio di empowerment femminile, sempre presente nella comunicazione del Maestro. Un album che si concentra su preludi, sinfonie, suite orchestrali e intermezzi che raccontano straordinari personaggi femminili.

Abbiamo incontrato Beatrice Venezi per parlare delle sue Heroines, in cui tutte le donne si possono ritrovare.


Credo che questi siano tutti tratti che rispecchiano perfettamente le donne che in alcuni personaggi vengono enfatizzati dalla loro stessa natura. C’è una vocazione di base ad essere quel tipo di personaggio. In generale comunque credo che queste siano tutte caratteristiche femminili.

Le eroine di Beatrice Venezi, antidoto al politicamente corretto

Sono tutte donne, specialmente quelle che la società considera personaggi negativi, che sicuramente hanno cantato fuori dal coro e non hanno avuto paura di farlo. Soprattutto, erano consapevoli delle conseguenze a cui andavano incontro. Ma anche coscienti dello stigma sociale e dell’isolamento, perché puntualmente quando vai controcorrente e prendi una posizione forte è facile ritrovarsi da soli.

Esatto, e in questo periodo bisogna sempre pensare a calibrare bene le parole, a pronunciare bene le finali delle stesse senza urtare la sensibilità di nessuno, quando chiaramente non lo si intende fare. C’è un’estrema attenzione a tutto, che in un certo senso può arrivare anche a limitarci. Quindi questo tipo di personaggi, che non hanno avuto paura di parlare e di agire, sono un vero e proprio antidoto al politicamente corretto.

Tra l’altro è stata da poco la giornata contro la violenza sulle donne. Si sono fatti tanti discorsi, ma in concreto cosa si fa? Ci sono tante donne che chiedono aiuto senza riceverlo, e questo è un dato di fatto. Lo stesso discorso vale per il linguaggio. Io capisco il discorso sull’utilizzo del maschile o del femminile, ma poi nel concreto cosa si fa? Le donne vengono comunque pagate meno e sono quelle che hanno vissuto maggiormente la perdita del lavoro in pandemia. Spesso, inoltre, non hanno i mezzi per poter portare avanti carriera e famiglia. Perché una donna deve rinunciare ad accudire i figli? Mi sembra che negli ultimi 30 anni non si sia fatto praticamente nulla. Alla fine ci possiamo riempire la bocca di tutte le parole che ci piacciono, ma mancano i fatti.


Credo che i tratti delle eroine dell’album si possano ritrovate in tante figure, anche quelle che non si trovano sulle pagine dei giornali. Il coraggio di Giovanna D’Arco, la resilienza di Lady Macbeth e il battersi per un’ideale, tipico di Evita, sono tutte caratteristiche in cui ognuna di noi si può ritrovare. E questo è anche il messaggio che vorrei mandare: ognuna di noi può essere un’eroina, sentirsi forte e ritrovarsi nelle storie di queste donne. È un aspetto da non sottovalutare, perché spesso si fa una narrazione sbagliata delle donne. Si parla di “sorelle di” o “mogli di”, senza riconoscere il loro reale ruolo e peso.

Beatrice Venezi: «Non siamo esseri fragili, non siamo come ci hanno descritte per secoli»

Indubbiamente c’è un problema di formazione in questo senso, che non riguarda solo il gender gap, ma è un gap totale. Si guarda solo la storia dalla parte dei vincitori, senza capire che c’è sempre una concatenazione tra causa ed effetto. In generale è un problema diffuso, almeno nel mondo occidentale. Per questo parlavo di consapevolezza rispetto al reale ruolo delle donne, perché nella storia della musica è pieno di sorelle e mogli di che erano compositrici notevoli, ma che non sono state mai raccontate o studiate, neanche nei conservatori. È necessario quindi creare una nuova narrazione, affinché le donne possano sentirsi supportate anche dal passato, consapevoli dei grandi personaggi femminili da cui possono ancora attingere oggi.

Io sono d’accordo con lui, perché a me piacerebbe che si parlasse puramente di merito e valore. Poi è chiaro che anche in questa industria ci siano degli ambiti che sono ancora un po’ refrattari, quindi non consentono pienamente accesso alle donne. In generale, però, devo dire che siamo in un periodo in cui c’è più attenzione alle donne dal punto di vista artistico. Amadeus poi, per come l’ho conosciuto, mi sembra una persona estremamente seria, priva di pregiudizi nello scegliere tra uomo e donna.

Sono sempre stata contraria all’idea delle quote rosa, mi sembra ci releghino in una sorta di tutela speciale. Non ne abbiamo bisogno. Le donne riescono a dare la vita, hanno il compito più difficile, e non sono assolutamente degli esseri fragili. Non siamo come ci hanno descritto per secoli.


Ascolta Heroines

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