Interviste

Maurizio Carucci: «Inimmaginabile è la cosa più compiuta che abbia mai fatto»

Dopo Respiro, Il cantautore genovese prosegue il suo percorso solista con un tour indoor in quattro tra i club più importanti d’Italia e un nuovo singolo in cui c’è davvero tutto quello che ama

Autore Greta Valicenti
  • Il7 Novembre 2022
Maurizio Carucci: «Inimmaginabile è la cosa più compiuta che abbia mai fatto»

Maurizio Carucci

«Stiamo facendo questo giro un po’ in bicicletta, un po’ a piedi, tra montagna e pianura. La pianura è un po’ più feroce», mi dice Maurizio Carucci al telefono in un uggioso pomeriggio di inizio novembre. Per fare questa chiacchierata, abbiamo interrotto per un po’ il suo giro in bicicletta nelle valli del nord Italia, ma a volte, quando si ferma a riflettere e ponderare le parole giuste da usare per raccontarci dove si trova ora – letteralmente e metaforicamente -, ci sembra di vedere il suo stesso punto panoramico.

Forse quello che c’è oltre l’Inimmaginabile, il suo ultimo singolo uscito il 28 ottobre che – dopo l’album Respiro – continua il suo percorso solista senza i fedelissimi Ex Otago. Feroce, dicevamo. Feroce come le domande che ad un certo punto della vita arrivano puntuali a bussare alla tua porta e chiedono delle risposte, quelle stesse risposte che Maurizio Carucci è riuscito a darsi anche grazie alla scelta coraggiosa di proseguire in solitaria. Una scelta che, però, lo ha portato a trovare una risposta alla domanda più annosa di tutte. “Ma io, chi sono davvero?”. Un uomo più risolto rispetto a prima, che ha finalmente segnato le coordinate della sua posizione attuale.

Sicuramente ti avranno già chiesto tantissime volte com’è stato lavorare al tuo primo album da solista senza gli Ex Otago, quindi volevo partire da una cosa che hai detto su Respiro. “Ho scritto questo album da solo per capire meglio forse chi sono e a che punto mi trovo”. Ti chiedo, allora, a che punto ti trovi della tua vita?

Devo dire che mi trovo in un punto piuttosto panoramico. Sento di essere sul crinale e di essere arrivato in cima a un punto in cui riesco a vedere le cose con più chiarezza. Diciamo che mi sono un po’ risolto rispetto a qualche tempo fa e questo mi rallegra. Poi le mie canzoni continuano ad essere malinconiche e tristi, ma questa è proprio una mia caratteristica. Ieri sera, ad esempio, stavo vedendo il film Le pagine della nostra vita e ti giuro che piangevo come un pazzo. Mi giro e c’era la Marti che non piangeva e le dicevo «Ma perché non piangi?!». Diciamo che ho questa malinconia un po’ genovese e un po’ dettata anche dal luogo in cui vivo ora. A parte questa mia caratteristica nostalgica, grazie a questo disco sono riuscito a capire meglio me stesso e a gioire di più per quello che faccio.

Questa malinconia effettivamente si respira moltissimo, soprattutto in Inimmaginabile, che personalmente ho percepito come un ritorno all’essenziale a tutto tondo. Per altro l’hai suonata piano e voce su un prato davanti casa tua, in modo molto semplice e – come hai detto tu stesso – grezzo.

È assolutamente così. Quest’ultima canzone, che piaccia o meno, forse è la cosa più compiuta che abbia fatto, quanto meno a livello di intenzione. Io da solo devo fare queste cose qui, perché alla fine sono quelle che amo. In Respiro in realtà c’è ancora una coda del mio percorso con gli Otago, mentre Inimmaginabile va nella direzione che forse avrei dovuto prendere sin dall’inizio. È qualcosa di molto più minimale, intimo, cantautorale e si distacca maggiormente dalla scrittura Otago.

Dunque adesso ti senti te stesso al cento per cento.

Sì, e per altro mi sono arrivati tantissimi feedback positivi che mi suggeriscono che le prossime cose che farò da solo andranno ancora di più in quella direzione. Se ci pensi è un brano in cui non c’è niente, ma in realtà c’è tutto. È tutto molto semplice, e io amo questa cosa. Voglio fare della musica che non faccia i conti con niente e che non debba dare retta a troppi sistemi.

Ma quindi oltre questo inimmaginabile cosa c’è?

E chi lo può dire! Non lo so… Quanti anni hai tu?

Ne faccio 26 tra due settimane.

Eh… Siamo in due momenti completamente diversi. Io alla mia età, e non ti parlo di età biologica ma di esperienze accumulate, inizio a farmi certe domande e a cercare di capire un po’ il senso della vita. Alla fine nasciamo, ma nessuno ci dice il perché. E non ci dicono neanche come fare a vivere in una maniera dignitosa. Poi amo sempre coniugare una proposta leggera che però si ponga delle domande spesso indigeste come può essere questa. Mi sento un po’ in un momento del genere. Non ho figli e non so se mai ne avrò per tutta una serie di motivi, non ultimo quello della questione sociale, e nell’ultimo periodo sto iniziando a fare vari ragionamenti e mi sto facendo delle domande a cui prima o poi bisognerà pur trovare una risposta.

Ah, allora è un po’ come quella vecchia storia del miele e della medicina…

È esattamente così. La musica ha questo grande pregio di essere uno strumento per trasformare. Respiro è stata la trasformazione di un periodo terribile che ho vissuto e della merda che ho mangiato. Poi, ad un orecchio distratto, può sembrare un disco pop e basta, ma credo e spero che qualcuno riesca ad intravederci qualcosa di più. Per me è questo il potere della musica: trasformare lo schifo in qualcosa di luminoso.

Tra l’altro prima quando hai parlato di società mi è venuto in mente un altro pezzo del tuo disco che è Paura, in cui racconti un po’ quelle della collettività. Quali sono le cose che ad oggi invece fanno paura a te?

Guarda su questa cosa potrei scrivere una canzone al mese, perché ogni volta le paure si rinnovano. La più grande paura che ho è quella di non riuscire a metterci in relazione con il tutto. Ho paura che ognuno pensi al proprio piccolo orticello e non pensi all’orto più grande che riguarda tutti. Questa cosa poi per me si lega molto anche al tema dell’ambiente, a cui io sono molto legato. Vivo in un eremo in mezzo ai boschi ormai da 20 anni, quindi la natura è una cosa che mi sta molto a cuore.

Sicuramente non viviamo in un momento positivo. La pandemia ci ha fatto vedere quanto siamo fragili, noi che ci siamo sempre sentiti i più forti di ogni specie. Sono ottimista sulle nuove generazioni, le vedo molto molto avanti, e di contro sono veramente incazzato con i 65-70enni di oggi che hanno paura a dare i diritti alla gente e non solo hanno dilaniato questo Paese, ma sono ancora lì a rompere le palle. Stanno consegnando ai ragazzi un territorio disfatto e ancora non vogliono dare i diritti per quanto riguarda l’amore, l’immigrazione. Questa cosa mi fa molto incazzare.

A proposito di questo, recentemente hai collaborato con Fabri Fibra che è sempre stato il rapper più incazzato di tutti. Musicalmente siete chiaramente agli antipodi, però mi sembra di capire siate molto simili nell’attitudine. Tu vivi in un eremo in mezzo ai boschi, Fibra nel privato si tiene e si è sempre tenuto estremamente alla larga dai riflettori. Quali sono i punti di contatto che avete trovato?

Senza dubbio quello che hai detto tu è il primo grande punto che ci accomuna. Entrambi abbiamo appositamente scelto di vivere lontani dal jet-set. Fabri poi è uno molto semplice, è nato in provincia, in una regione abbastanza decentrata. Questa sua frugalità la si ritrova anche frequentandolo. La stessa cosa succede anche nelle sue canzoni, dove con parole semplici riesce sempre ad ottenere un risultato potentissimo, e questa è una cosa che ammiro molto della sua lirica.

Biologicamente non siamo così lontani, quindi certi ragionamenti, certi codici culturali sono gli stessi. Certo, poi lui fa rap e io pop d’autore, però diciamo che l’umanità che ha è molto vicina alla mia. Poi collaborare con lui mi ha fatto vivere un’estate che forse non mi ricapiterà mai più nella vita. Passavo dal suonare al paesino medievale in Toscana col pianoforte con 200 persone sedute, all’Arena di Verona a far casino con migliaia di persone. Una roba allucinante!

O a Red Bull 64 Bars Live a Scampia, con un’entrata a dir poco memorabile…

Ho voluto farmi riconoscere, devo dire che ho fatto il mio piccolo capolavoro!

Per altro con un pubblico immagino lontanissimo dal tuo solito, com’è stato esibirti di fronte ad una platea così diversa da quella cui sei abituato?

Allora, tu immaginati Scampia rap. Quindi tutti che fanno brutto, cazzo. “My bitch”, “cash”, “money”, io arrivo correndo e facendo il brillante come faccio sempre e casco sul palco. Non so neanche come abbia fatto a non morire, vista la schienata che ho preso! A parte questo è stato divertentissimo, questo episodio ha rapinato tutta la mia esperienza. Me la sono vissuta molto bene, poi io sono uno che sul palco amo anche farmi male, quando sono lì non capisco più niente e non sono più nella realtà che tutti condividiamo. E quindi non me ne frega un cazzo, io quando sono lì se mi sento di correre, corro. Se c’è da cadere, cado.

Sul palco ci tornerai tra poco meno di due settimane per chiudere il tour con quattro date in altrettanti importantissimi club.

Sicuramente sarà un momento finalmente per incontrarci e toccarci, mi piacerebbe proprio avere un contatto diretto con tutte le persone che ci saranno. Sarà poi l’occasione per buttare fuori tutto quello che è successo in questi mesi, voglio proprio infilarci tutto ciò che mi rappresenta, dal piano e voce ai pezzi dance. Secondo me sarà una cosa molto bella, credo che ci divertiremo molto.

Nelle prossime settimane ripartirà il Respiro tour di Maurizio Carucci. Gli appuntamenti sono a Milano (16 novembre, Magazzini Generali), Bologna (17 novembre, Locomotiv Club), Torino (24 novembre, Hiroshima Mon Amour) e Roma (26 novembre, Largo Venue). I biglietti sono disponibili qui.

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